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Testo originale | Traduzione letterale | |
Musica
Ona quaj vòlta cert v’è capitaa,
E lì, travers quj rizz, quj ghirigori,
E in del poggià la testa a quell cancell
E ve par de vedè cont i oeucc saraa |
Musica
Qualche volta vi sarà capitato, passando da un paesotto della Brianza, di fermarvi lì di colpo, quasi incantati per l’armonia delle tinte, per la fragranza dei gelsomini, dei glicini intrecciati, che scivolano giù, giù, come una frangia, a ciuffi, a grappoli, da un tetto, o da un muretto, o dai ricci e ghirigori d’un cancello.
E lì, attraverso quei ricci, quei ghirigori, contornata da piante tutte piene d’uccelli, vedere una villa, vuota, un vero mortorio, con le persiane chiuse, mancanti di listelli, e, come se raccontassero delle storie, nella fontana ferma, due cannucce che a goccia, a goccia, a goccia … ticch, ti, ti… vi spruzzano due ninfee che stanno fiorendo.
E nell’appoggiare la testa a quel cancello, dove la ruggine, farinosa e fredda, lo corrode notte e giorno pian, piano, bel bello, sentire una voce accarezzarvi l’orecchio come se fosse una canzone, un ritornello che conoscete, una vecchia storia che vi commuove, che tocca il sentimento, che culla il cuore come un bimbo addormentato.
E vi sembra di vedere, con gli occhi chiusi e con i capricci della fantasia che vi fanno credere i sogni come realtà, aprirsi di qua e di là una persiana, sparire quei buchi, quelle travi tutte tarlate, e con un bel piumaggio che zampilla, confondere il ‘’piss piss’’ della fontana, con un Chopin sul piano, da lontano … |
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