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Testo originale | Traduzione letterale | |
El Cervin
Solitari, imponent, generos,
Incoeu el par bonvivan, fin gioios,
L'è el moment che la "Sciora" la va
e ie troeuva scrusciaa giò, imbastii,
I ciaritt tremorent del "Soccors"
Al caldusc, in la branda al "Rifugio" |
Il Cervino
Solitario, imponente, generoso, imbevuto dei colori dell'estate, fasciato in un vestito fatto di sole come una ragazza per farsi ammirare, il Cervino, sua Altezza Reale, si specchia nella conca di un lago.
Oggi sembra ben disposto, persino gioioso, non adirato, malmostoso o furioso come quando per fermare gli alpinisti si copre di nuvole e il vento scatena turbinii di neve tra valanghe, tuoni e fulmini in cielo.
È il momento in cui la "Signora" và su per i dirupi a cercar chi di loro di fatica, di freddo o feriti sognino prati, vedono facce vecchie di amici, sentano voci e canzoni mai cantate, poco a poco, loro si lasciano andare...
E li trova accovacciati, immobili, come sassi avviluppati nella neve, non hanno più voglia di vivere, meglio morire. Il Cervino, Re con il cuore fatto di pietra, quando li vede indifesi, sofferenti, scarica a valle ghiaia e poi ghiaccio.
I lumini tremolanti del "Soccorso" sono uomini che rischiano la pelle. Pare che perforino con le luci la tormenta per aiutare, dar conforto, recuperare chi preso dal silenzio di un sogno, non può più, da solo, tornare a casa.
Al calduccio, nella branda al "Rifugio" sono troppo stanchi e impauriti per dormire. Un'occhiata, una mano che si stringe è sufficiente per dire "Grazie" ad un amico. La tormenta batte ancora all'uscio, ma non fa più paura a nessuno! |
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