Nasce a Como nel 1912. E' giornalista-scrittrice. Nel 1961 si afferma anche come
poetessa dialettale. Pascoli e Tessa sono i suoi ispiratori. La sua poesia tocca
i temi della famiglia, della natura e della psicologia umana, esprimendone
l'essenziale.
1961 IV premio "Ente Autonomo di soggiorno" di Garessio
1963, 1964, 1965 Tre primi premi del "Cenacol Milanes"
1967 Premio Sant Ambroeus
Opere pubblicate:
«Canzonett al ciar e al scur» (poesij in
dialett comasch e milanes), Como 1966 Nel
1967 pubblica anche un disco con 12 poesie, recitate da Piero
Mazzarella.
Scritti
sull'AutoreIntervista di Giorgio Bardaglio uscita sul Corriere di Como
il 22 febbraio 1998
La casa in cui abita è vasta quanto un castello. C’è pure un bel parco, con
alberi già lieti di accogliere la primavera. Lungo i viali si possono
parcheggiare decine d’auto. Giorno e notte si alterna numeroso il personale di
servizio.
Gisella Azzi da sei anni si è trasferita qui, a Rebbio. In una casa di riposo.
Non pensatela, però, come una vecchia sola, dimenticata e triste. Vi
sbagliereste. Gisella sembra la nonna di Cappuccetto Rosso. Capelli bianchi,
pelle morbida, voce infantile a dispetto del tempo. Gli acciacchi con l'età si
sono aggravati e non riesce più ad essere indipendente. Nel corpo, non nello
spirito. Prima di incontrarla ne conoscevamo a malapena il nome. Tutti, invece,
alla Ca’ d’Industria, sanno chi è Gisella.
Il portinaio ci scorta all'ascensore. Nella stanza al secondo piano non c’è.
Cerchiamo informazioni a un'infermiera, che chiede a un inserviente, che domanda
a un assistente. In un minuto si trova. La disturbiamo nella sala della
televisione. Quando ci presentiamo, riceviamo in cambio un sorriso tra il furbo
e il sognatore. «Mi è sempre piaciuto parlare con i giovanotti» dice. Aggiunge
un complimento. Comprendiamo più tardi che le nostre qualità non c’entrano. Sono
i suoi occhi a vedere il buono dappertutto.
La visita coincide con l’ora di cena. Appena il tempo di scambiare due battute,
mentre l’accompagnamo a tavola.
Ci hanno riferito che era una scrittrice?
«Sono. Sono una scrittrice. Non sono mica morta!» e sorride astuta, fingendosi
un poco indispettita. Non sono domande da fare a una signora, ma possiamo
chiederle quanti anni ha? «Questa volta ve lo dirò. Sono quasi ottantasei».
Restiamo ad aspettarla in corridoio. Sulla poltrona accanto alla nostra c’è una
vecchina che si chiama Rita. Un ictus ha rubato a Rita la ragione, ma non il
sorriso. Ad ogni nostro sguardo, lei ricambia sorridendo con compostezza. Il
figlio viene ogni giorno a trovarla. Lui, la Gisella, la conosce bene. “Un tempo
a Como era molto popolare. Leggevo sempre le storie e le poesie che scriveva.
Divertentissime. Compariva spesso in televisione. Improvvisamente non ne seppi
più nulla. Chissà che fine avrà fatto, pensavo. La ritrovai qui. Mistero
risolto”.
Ride. La madre non può intenderne il motivo, ma non fatica ad associarsi. Prima
di assaggiare la frutta, Gisella torna in stanza. È stanca e si sdraia sul
letto. Le sediamo accanto. «Cosa desiderate?» ci interroga. Sono passati pochi
minuti dalla nostra presentazione, ma abbiamo l'impressione che non si ricordi
affatto di noi. Ripetiamo le nostre intenzioni. «Ma sono molto stanca. Cosa mai
mi volete domandare?» si lagna un poco.
Si sente sola? «Mai. Mi sento sempre in compagnia di lui - guarda sopra la
testata del letto - del Signore. Poi qui ci sono persone cordiali e in molti mi
vengono a trovare, a cominciare dai miei nipoti Ettore, il mio prediletto, Maria
Grazia, Paolo, Biba, Corrado, Luciano e Silvana». Siamo venuti a trovarla perché
ci hanno detto che ha scritto delle belle poesie.
«Grazie. A Como ero quasi celebre. E mi conoscevano anche a Milano».
Addirittura. «Più come musicista di pianoforte, però. Suonai persino al
Conservatorio Verdi. Il pianoforte è lo strumento più completo. Cominciai da
bambina, perché ce n'era uno a casa di mia nonna Adele. Mi piaceva moltissimo la
Polacca di Chopin che fa - e si mette a cantare - ta tata la lalalala la lala.
Era difficile, ma ci riuscivo facilmente. Ero brava, quando queste mani facevano
giudizio. Ora non sono più agili». Ce le mostra. Le stesse mani che di tanto in
tanto, durante il colloquio, accompagnate da sorrisi sinceri, ci accarezzano il
volto. Mani di un liscio etereo. Delicate. Quando ha cominciato a scrivere?
«Molto presto. Scrivere era una soddisfazione. Ora ho quasi smesso».
Scriveva in dialetto. «Anche in italiano, se è per questo, ma è vero che la mia
grande passione è per il dialetto - si ferma per un istante e poi aggiunge con
enfasi - il dialetto comasco».
È così diverso da quello milanese? «Molto. Il milanese è un po', un po'...molle.
Il comasco invece è più aggressivo. Le parole hanno suoni più spigolosi, ma
hanno anche più mordente».
Non è la sola a pensarlo. “Cumàsch, gente dura come il loro nome pronunciato in
dialetto” sentenziava sovente Gianni Brera al collega e amico Gianni Clerici.
«Alla gente piaceva leggere le mie storie, ma soprattutto sentirmele recitare»
precisa Gisella e la cosa ci pare naturale. Niente più della voce dell'autore
riesce a render vive le poesie, poiché non ci sono figlie che non stiano bene in
braccio alla madre. «Piacevano in particolare quelle chiamate “Canzunèt al cìar
e al scùr”, ossia liete e tristi. Ne apprezzavano la varietà. Ma ho scritto
molto. Troppo, per ricordare tutto. Ben cinquecentotre poesie. A memoria ne
ricordo solo due: “I tò bei oeucc” e “El finestroeu”. Le altre sono raccolte nei
libri. “Il bottegone”, che prese il nome dal caffè in Piazza del Duomo e che era
di proprietà di mio padre, “Furetto del grattacielo” e “Le indiscrezioni della
Marietta”, una donna di servizio maligna, che raccontava vizi e virtù dei
comaschi».
Questo è il prezioso patrimonio che lascerà ai suoi concittadini Gisella Azzi.
Con semplicità e ironia ha saputo raccontare nella lingua del borgo un pezzo di
storia di Como, attraverso i fatti, i costumi e le persone non illustri che
l'abitavano.
Esisteva veramente la Marietta? «No. L'avevo inventata io - si guarda attorno
per accertarsi che non ci siano orecchi curiosi e bocche pettegole - quei
pensieri erano i miei. La Marietta ero un po' io».
Si è mai sposata?
«No, no, no, no. Sono “single” - dice proprio così, “single” -non ho mai trovato
l'anima gemella. Ho voluto bene a una sola persona. Si chiamava Edgardo
Ghisalberti. Purtroppo è morto. Dico sempre: piuttosto che sposarmi, è morto»
ride e si mette la mano alla bocca, perché sa di averla detta grossa o almeno
così vuol far credere. Non pensa mai alla morte?
«Qualche volta, ma mica tanto. Meglio lasciarla fuori dalla porta. Tanto, se
vuole entrare, non bussa».
Dorme di notte?
«Abbastanza. Altrimenti penso, prego o rido. Mi vengono in mente i ròbb de rid.
Stupidaggini che mi tengono allegra. Perché ridere fa bene.
La capacità di ridere è la mia autentica salvezza»
Oggi, 9 dicembre 2004 ho telefonato alla suddetta Casa di
riposo, nella speranza di poter salutare la Signora Azzi e raccontarle che
sarebbe stata presente su questo sito. Purtroppo mi hanno riferito che la
Signora ci ha lasciati circa 3 anni fa. (Ndr)
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