Carlo Porta nasce a Milano il 15 giugno del
1775 o 1776 (come lui stesso dice nel frammento di una sua poesia) da
Giuseppe Porta e da Violante Guttieri e viene battezzato il 18 dello
stesso mese nella Parrocchia di San Bartolomeo che non c'è più, ma che
allora si trovava all'altezza dell'attuale piazza Cavour.
Era il terzo di tre
fratelli di cui il primo si chiamava Baldassare e il secondo Gaspare. E lui
stesso, oltre che Carlo, portava i nomi di Antonio, Melchiorre e Filippo. Studia
a Monza e poi nel seminario di Milano, dopo di che intraprende un lavoro commerciale, senza molta dedizione.
Dopo aver trascorso un periodo in Germania, torna in patria per dedicarsi al teatro dialettale e fonda a Milano,
assieme ad altri il Teatro Patriottico, oggi Filodrammatici.
Dopo una nuova assenza nel Veneto rientra e si impiega, non trascurando la sua passione per la poesia dialettale
che lo porterà a produrre un numero notevole di poesie e sonetti, nel suo stile bonario o mordace, a seconda dei casi.
Le sue opere rispecchiano per lo più fatti realmente accaduti.
E' molto amico del Manzoni e di Tommaso Grossi che, rimpiangendolo dopo la sua morte avvenuta
nella sua casa di via Montenapoleone 2 (a soli 46 anni) il 5 febbraio 1821
(o gennaio secondo alcuni) a causa del peggioramento delle sue condizioni
di salute per la gotta di cui soffriva da tempo, lo descrive come "un signore,
giovane, disinvolto, pieno di talento; ben visto dai galatuomini e dalla brava gente".
Lettera al figlio Giuseppe (si riporta questa lettera del 3 marzo 1815, perché da sola può mettere a tacere eventuali commenti sull'uso di un certo linguaggio portiano)
Figlio mio,
A te Giuseppe figliuol mio carissimo ed amatissimo dedico, consagro e dono questo libercolo per te appostamente scritto di mio proprio pugno, e sul quale mi è piaciuto di consegnare tutta quella parte de' miei vernacoli componimenti, che mi è avvenuto di poter raccostare sia coll'aiuto della memoria (che sempre viva mantenni di talun d'essi) sia coll'aiuto degli amici, che a me di buon grado ritornarono quanto delle cose mie era stato da loro in vari tempi raccolto. Io non pretendo in essi esibirti un modello di poesia da dovere,
o poter imitare; pretendo bensì di esserti esempio in ciò, che fui nemico in
ogni tempo dell'ozio e che ebbi dall'amor delle lettere, almeno in questo modo
additata, se non in altro migliore, una strada sicura per sottrarmi alle di lui
insidie e fuggirlo. Alcuni di questi componimenti di genere erotico
griderebbero altamente contro di me, se io avessi permesso che venissero
pubblicati colle stampe, o se fossi stato meno circospetto nell'esporgli alla
lettura di chi bramava conoscere le cose mie. Questa prudente circospezione io
la raccomando a te pure figliuol mio, e sappi che non mi spinse, a tentar questo
genere, amor di lascivie, o torpitudine di mente e di cuore, ma curiosità e
brama soltanto di provare se il dialetto nostro poteva esso pure far mostra di
alcune di quelle veneri, che furono finor credute intangibile patrimonio di
linguaggi più generali ed accetti. Ho io così fabbricato quell'appuntato
coltello, che sarebbe mal affidato nelle mani dell'inesperto fanciullo, e tu lo
custodirai, figlio mio, con gelosia, siccome custodiresti le altre armi non meno
pericolose fabbricate dai Salomoni e dai Sanchez! Se tuttavia però qualche
accigliato ipocrita alzasse la voce contro tuo Padre e gridasse: All'empio! Al
libertino! Al lascivo!, dì francamente a costui che a favor di tuo Padre stava
a'suoi giorni la pubblica opinione, ch'esso fu un intemerato amministratore del
denaro del Principe; che nessun operaio ha mai frustaneamente reclamata da lui
la meritata mercede; ch'elli non fu mai contaminatore degli altrui talami,
ch'elli non ha mai turbato la pace santa delle famiglie, mai blandito con
adulazioni le ribalderie e l'ambizion de' potenti, mai chiuse le orecchie ai
clamori della indigenza, e che infine egli è vissuto cittadino, figlio, marito,
padre e fratello senza che l'infuggibil rimorso o la legge abbia mai un istante
percossa la tranquillità de' suoi sonni. Chiedigli poscia s'egli possa di lui
con verità le cose stesse affermare. E se l'animo tuo si acquieta appieno
quand'esso risponda che sì, condanna alle fiamme questo mio libro e sagrifica
sull'onor di questo ipocrita la memoria di un Padre che procurava d'esser a te
caro in un tempo e di divenirlo ancora a'tuoi figli. Vivi felice
Il Padre tuo Carlo
In Milano lì 3 Marzo del 1815.
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